Psicoterapia e mental coaching nel tennis: esperienze di gruppo
Nel corso del mio lavoro di preparazione mentale, ho avuto modo di esplorare e applicare una varietà di esperienze pratiche, nate dall’integrazione tra i principi della psicoterapia psicodinamica e le necessità specifiche del contesto sportivo. Queste esperienze si collocano in un approccio che valorizza il corpo, il linguaggio non verbale e la dinamica relazionale come strumenti fondamentali per promuovere una maggiore consapevolezza di sé e un miglioramento delle prestazioni.
Le attività descritte che seguiranno rappresentano non solo strumenti di apprendimento e crescita per gli atleti, ma anche momenti di scoperta personale e collettiva. Attraverso pratiche come l’osservazione reciproca, il contatto fisico e l’uso di oggetti simbolici, gli atleti hanno potuto sperimentare un viaggio di consapevolezza che va oltre il tema della performance sportiva, toccando dimensioni profonde e complesse del Sé e delle varie tappe esistenziali. Queste esperienze, ispirate sia alla mia formazione psicodinamica che alle collaborazioni con contesti sportivi innovativi, offrono una finestra su un metodo che utilizza il corpo e le emozioni come chiavi di accesso per un lavoro più ampio e integrato.
Il Ruolo del Dialogo e della Parola nella Preparazione Mentale
Nel mio approccio alla preparazione mentale, la psicoterapia come dialogo gioca un ruolo centrale, affiancandosi alle esperienze espressive e corporee. Che si tratti di un contesto di gruppo o di un percorso individuale, la parola diventa uno strumento fondamentale per integrare e dare significato a ciò che emerge durante le esperienze non verbali.
Dopo un’attività corporea o simbolica, il momento di condivisione verbale permette agli atleti di riappropriarsi delle proprie impressioni, sensazioni e immagini fugaci. Questo processo, che trova fondamento nel concetto di embodied cognition (Washburn, 1916), consente di trasformare ciò che è stato vissuto nel corpo in un’esperienza consapevole, dando voce a tematiche profonde come traumi, conflitti familiari, timori e convinzioni limitanti.
Il dialogo è anche uno spazio di confronto e crescita, soprattutto nei contesti di gruppo. Attraverso la condivisione, il feedback reciproco e il lavoro sugli assunti di base secondo il modello di Bion (1961), i partecipanti non solo esplorano i propri vissuti, ma si aprono alla comprensione delle esperienze altrui. Questo scambio favorisce una maggiore consapevolezza personale e relazionale, creando un ambiente di sostegno in cui il confronto diventa un’occasione di crescita.
Nel lavoro individuale, il dialogo assume una funzione ancora più profonda. Attraverso le dinamiche transfero-controtransferenziali, aiuto gli atleti a riconoscere e gestire le proprie emozioni, affrontare i conflitti interni e sviluppare strategie per migliorare la gestione delle sfide sportive e personali. Spesso, il primo ostacolo è proprio quello di riuscire ad aprirsi e a esprimere le proprie difficoltà davanti a uno psicologo. Creare uno spazio sicuro e accogliente è essenziale per facilitare questo processo.
Sebbene molte delle esperienze descritte si basino su tecniche espressive e creative, il lavoro con la parola rimane un pilastro fondamentale. Il dialogo permette di dare un senso all’esperienza, elaborarla e trasformarla in un’opportunità di crescita, sia dentro che fuori dal campo. È attraverso questa integrazione tra corpo, emozioni e parola che il percorso di consapevolezza diventa realmente efficace e completo.
Di seguito troverai una raccolta di esperienze pratiche che ho sviluppato e applicato nel lavoro con gli atleti. Ciascuna attività ha una funzione specifica e può essere esplorata più in dettaglio cliccando sul titolo corrispondente.
Esperienze Pratiche:
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Questa esperienza ha permesso a un gruppo di giovani atleti di esplorare sé stessi e gli altri attraverso il movimento, l’osservazione reciproca e il contatto corporeo. Lontano dalle parole, il corpo è diventato il principale strumento di espressione, rivelando tensioni, emozioni e caratteristiche uniche di ciascun partecipante. Il percorso ha favorito una maggiore consapevolezza delle proprie modalità di comunicazione non verbale, contribuendo a sciogliere barriere relazionali e a rafforzare il senso di appartenenza al gruppo.
L’attività, ispirata ai principi della psicoterapia corporea e alle teorie sulle corazze caratteriali di Reich, ha mostrato come la postura e i gesti siano influenzati dall’esperienza emotiva. Inoltre, il superamento delle resistenze legate al contatto fisico ha reso evidente quanto il tatto possa essere un potente strumento di connessione e di fiducia reciproca. Questa esperienza si è rivelata non solo utile per la crescita personale degli atleti, ma anche per migliorare la fluidità e la libertà di movimento in ambito sportivo.
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Il Piumone Condiviso non è stato solo un oggetto, ma un vero e proprio simbolo collettivo, capace di raccogliere ed esprimere le emozioni e le esperienze dei partecipanti. Attraverso il disegno, ogni ragazzo ha potuto lasciare un segno personale, contribuendo alla creazione di un mosaico di vissuti che ha favorito la condivisione autentica e il senso di appartenenza al gruppo.
L’attività si è sviluppata in più fasi: prima con la rappresentazione grafica delle emozioni, poi con la fase interpretativa, in cui ciascun partecipante ha attribuito un significato ai disegni altrui, attivando proiezioni e processi di rispecchiamento. Questo esercizio ha permesso di esplorare il proprio mondo interiore senza il filtro della parola, rendendo visibili emozioni e conflitti difficili da esprimere verbalmente.
Il silenzio riflessivo dell’autore durante l’interpretazione del suo disegno ha svolto un ruolo essenziale, stimolando una maggiore consapevolezza e aprendo nuove prospettive sul proprio vissuto. Il Piumone Condiviso ha quindi rappresentato un contenitore di emozioni, un luogo sicuro in cui trasformare vulnerabilità individuali in risorse collettive. Questa esperienza ha dimostrato come un semplice oggetto possa diventare un potente strumento di crescita personale e di connessione emotiva nel gruppo.
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L’esperienza di suonare il corpo unisce arte, terapia e scoperta sensoriale, offrendo ai partecipanti un modo innovativo per esplorare sé stessi e la relazione con gli altri attraverso il ritmo e il tatto. Partendo dall’autopercezione sonora del proprio corpo, i partecipanti sperimentano progressivamente la connessione con il gruppo, imparando a comunicare senza parole, solo attraverso suoni e vibrazioni.
Il percorso si sviluppa in fasi: dalla scoperta individuale del proprio corpo come strumento musicale, alla creazione di un ritmo condiviso con un compagno, fino al coinvolgimento dell’intero gruppo, in cui un partecipante si lascia avvolgere dal suono collettivo. Questo esercizio favorisce una profonda sincronizzazione emotiva e corporea, promuovendo il senso di appartenenza e la capacità di ascolto reciproco.
L’esperienza rivela inoltre il legame tra il ritmo relazionale e le dinamiche psicologiche profonde, mostrando come il battito e la vibrazione corporea possano risvegliare emozioni arcaiche e stimolare il rilascio delle tensioni. In questo contesto, il ritmo diventa un archetipo universale, una forma primitiva di comunicazione e regolazione emotiva, che permette ai partecipanti di superare le barriere del linguaggio e vivere un’esperienza di connessione autentica con sé stessi e con il gruppo.
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L’esperienza del mimo è stata ideata per esplorare la percezione di sé rispetto al giudizio sociale, un aspetto cruciale nella performance sportiva. Attraverso l’imitazione e la riproduzione di gesti in un contesto di gruppo, i partecipanti hanno sperimentato l’imbarazzo, la paura di essere osservati e il peso della pressione sociale, ritrovando dinamiche simili a quelle vissute in gara.
L’attività ha permesso di indagare come la paura del giudizio possa limitare l’espressività spontanea e influenzare la fiducia in sé stessi. Il mimo si è rivelato un efficace strumento per confrontarsi con queste emozioni, aiutando i partecipanti a sviluppare una maggiore sicurezza e a gestire l’ansia da prestazione.
Portando questa esperienza sul campo da tennis, il mimo diventa anche un esercizio per migliorare la lettura dell’avversario e affinare la capacità di adattamento tattico, grazie alla simulazione dei movimenti altrui. L’imitazione, infatti, non è solo un gioco, ma un potente strumento di apprendimento motorio e di connessione relazionale.
Questa attività dimostra come il lavoro sulla percezione del giudizio possa tradursi in un maggiore benessere mentale, migliorando la capacità di gestire la pressione e di esprimersi con naturalezza e sicurezza, sia nel contesto sportivo che nella vita quotidiana.
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L’esperienza dei vocalizzi nasce dall’osservazione dei suoni emessi dai giocatori durante i colpi e si propone di trasformarli in uno strumento consapevole per migliorare la fluidità del movimento e la gestione della tensione. Attraverso un lavoro in due fasi, prima fuori dal campo e poi in gioco, gli atleti sperimentano come la voce e il respiro possano influenzare la qualità del colpo e il ritmo interno.
Nella prima fase, i giocatori esplorano la sintonizzazione collettiva attraverso il respiro e le vocali, creando un’armonia sonora di gruppo che stimola il rilassamento e la connessione interpersonale. Questo lavoro, basato sulla teoria polivagale, aiuta a regolare l’attivazione emotiva, favorendo uno stato di calma e concentrazione.
Nella seconda fase, l’attenzione si sposta sul campo da tennis, dove ogni atleta sperimenta il potere delle vocali durante i colpi. Ogni suono modifica la dinamica del respiro e della tensione muscolare, influenzando la precisione e la profondità del colpo. Inoltre, l’uso dei suoni onomatopeici, come la “S” nel backspin, si rivela un potente strumento per migliorare la coordinazione neuromotoria.
Questa esperienza dimostra come il suono possa diventare un mezzo per affinare la gestione delle emozioni, ottimizzare la performance e creare una sinergia tra mente, corpo e respiro, rendendo l’azione più naturale ed efficace.
SCOPRI
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L’esercizio di prossemica a occhi chiusi è stato progettato per allenare gli atleti a percepire l’ambiente e la presenza degli altri senza fare affidamento esclusivamente sulla vista. Muovendosi nello spazio privati di questo senso, i partecipanti sviluppano una maggiore sensibilità corporea, migliorando la loro capacità di ascolto sensoriale, fondamentale per anticipare movimenti e reazioni nel gioco del tennis.
L’esperienza ha evidenziato come la deprivazione visiva attivi risorse percettive alternative, come il tatto, l’udito e la propriocezione, favorendo una maggiore consapevolezza del proprio corpo e della dinamica relazionale con gli altri. Questa pratica stimola la capacità di leggere lo spazio e i segnali corporei altrui, qualità essenziali per migliorare il posizionamento sul campo e la prontezza nella risposta ai colpi avversari.
Oltre agli aspetti tecnici, l’esercizio ha un forte impatto emotivo, poiché richiede di affidarsi agli altri e di esplorare il proprio senso di vulnerabilità. Il lavoro a occhi chiusi aiuta a rafforzare la fiducia in sé stessi e nel gruppo, riducendo il controllo visivo e favorendo una connessione più intuitiva e profonda con l’ambiente e con l’altro.
Questa esperienza dimostra come il tennis non sia solo un gioco di prontezza fisica, ma anche di sensibilità relazionale e anticipazione intuitiva, competenze che possono essere allenate sviluppando la capacità di sentire oltre la vista.
SCOPRI
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L’esperienza del Social Dreaming offre un’opportunità unica di esplorazione del mondo interno, trasformando il sogno da fenomeno individuale a strumento di connessione collettiva. Questo metodo, sviluppato da Gordon Lawrence, permette di creare un campo sociale inconscio, in cui i sogni e le immagini mentali condivise si intrecciano, generando significati relazionali e favorendo la costruzione di un senso di appartenenza.
Durante l’attività, i partecipanti condividono sogni e associazioni spontanee, mentre il gruppo e i terapeuti, fungendo da contenitori simbolici, contribuiscono all’elaborazione collettiva delle emozioni e dei vissuti inconsci. La pratica del Social Dreaming si lega alle teorie di Freud, Jung e Ogden, integrando l’idea che il sogno possa essere non solo una finestra sull’inconscio individuale, ma anche un mezzo per accedere a dimensioni archetipiche e relazionali.
L’esperienza aiuta i partecipanti a rielaborare vissuti inespressi, fornendo un contesto in cui è possibile sognare i sogni non sognati, ovvero dare forma e significato a pensieri ed emozioni che non erano ancora stati integrati. Questa dinamica collettiva rafforza la capacità di simbolizzazione, offrendo strumenti per la crescita personale e il consolidamento dell’identità.
Nel contesto sportivo, il Social Dreaming diventa una risorsa preziosa per i giovani atleti, aiutandoli a esplorare le proprie emozioni in un ambiente di sostegno reciproco. Questo processo non solo facilita la regolazione emotiva e mentale, ma favorisce anche lo sviluppo di una maggiore consapevolezza di sé e del proprio ruolo nel gruppo, elementi fondamentali per la performance sportiva e la crescita personale.
SCOPRI
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L’esperienza del disegno speculare progressivo è stata adattata per i giovani tennisti come strumento di espressione creativa e simbolica, favorendo la funzione riflessiva e il rispecchiamento reciproco. Questa tecnica, originariamente utilizzata nella psicoterapia di pazienti psicotici, è stata rielaborata per esplorare le dinamiche relazionali e il lavoro di squadra, offrendo ai partecipanti l'opportunità di interagire con il disegno dell’altro, modificandolo, integrandolo o trasformandolo.
L’attività si basa su un processo progressivo di scambio, in cui ogni partecipante modifica il disegno ricevuto attraverso sovrapposizioni e rielaborazioni, costruendo una rappresentazione figurativa collettiva. Questo processo diventa una metafora della relazione, evidenziando dinamiche di accettazione, trasformazione o opposizione all’intervento dell’altro.
Nel tennis, il rispecchiamento è una strategia fondamentale: ogni giocatore sceglie come rispondere all’azione dell’avversario, adottando diverse modalità relazionali che si riflettono anche nelle scelte strategiche in campo. Il disegno speculare progressivo aiuta gli atleti a sviluppare empatia e flessibilità, competenze cruciali nella gestione del confronto e dell’adattamento alle mosse dell’altro.
A livello gruppale, l’esperienza stimola un processo di co-costruzione e rafforza la capacità di interazione e collaborazione, contrastando la tendenza alla competizione esasperata e promuovendo un sano equilibrio tra sfida e cooperazione. Secondo Bion (1961), il gruppo rappresenta una matrice emotiva in cui le esperienze individuali trovano spazio per essere trasformate attraverso l’interazione con l’altro.
Alla fine dell’attività, il gruppo analizza i disegni prodotti come strumenti per riflettere sulle dinamiche relazionali emerse. Questa fase consente di comprendere meglio il proprio stile di interazione, esplorando il proprio atteggiamento nei confronti del cambiamento e della collaborazione. Il disegno finale diventa una testimonianza visiva del processo relazionale, offrendo spunti di consapevolezza e crescita personale.
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Il role playing è stato utilizzato come strumento per facilitare l’espressione emotiva e l’elaborazione dei conflitti interpersonali. Attraverso la rappresentazione simbolica di figure significative come genitori, allenatori o partner, gli atleti hanno potuto esplorare emozioni profonde spesso difficili da contattare nella vita quotidiana. L’elemento centrale dell’attività consisteva nella scelta consapevole di chi rappresentare e con quale terapeuta interagire, in un processo che già in sé attivava riflessioni e vissuti intensi. La possibilità di parlare direttamente con la figura rappresentata, in un contesto protetto e non giudicante, permetteva ai partecipanti di accedere a contenuti emotivi inespressi, dando voce a bisogni di riconoscimento, approvazione o rabbia.
Il gruppo, in ascolto silenzioso, fungeva da contenitore affettivo e stimolava processi di empatia e rispecchiamento, facendo sì che anche chi osservava potesse riconoscere parti di sé nei dialoghi degli altri. Questa dimensione collettiva ha amplificato il valore trasformativo dell’esperienza, favorendo un’elaborazione condivisa e rinforzando il senso di appartenenza. Il role playing ha così rappresentato uno spazio di lavoro simbolico, dove i contenuti interni sono stati riorganizzati attraverso la relazione e l’espressione verbale.
Nel contesto sportivo, l’esperienza ha assunto un significato ancora più ricco, in quanto ha creato un parallelismo con il campo da gioco: così come si allena un colpo per prepararsi alla partita, allo stesso modo ci si può allenare a comunicare in modo più autentico ed efficace. Il confronto immaginato o simulato ha permesso agli atleti di sperimentare modalità nuove di relazione, migliorando anche la gestione emotiva durante la performance. Il vissuto finale di molti partecipanti, tra cui il senso di leggerezza, liberazione e chiarezza, ha confermato il valore terapeutico dell’esperienza, che non è solo espressione catartica, ma anche un’opportunità per integrare parti di sé e potenziare la propria capacità di relazione, ascolto e regolazione emotiva.
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L’esperienza sull’ombra nasce dal bisogno di dare forma a ciò che spesso resta non detto, per paura o vergogna. Utilizzando la luce del sole che proiettava l’ombra del corpo sul muro, i partecipanti sono stati invitati a rappresentarla graficamente, trasformandola in immagini simboliche. Da questi disegni è nata una narrazione collettiva, in cui ciascuno ha potuto condividere emozioni nascoste e riconoscerle attraverso il gruppo.
Il lavoro si è concluso con un’azione creativa in cui il gruppo “metteva in scena” l’ombra del compagno al centro, dando forma a un dialogo tra sé e la propria parte nascosta. Questo ha permesso di trasformare l’ombra da minaccia a risorsa, grazie al contenimento relazionale del gruppo. In ambito psicodinamico, l’ombra (Jung) rappresenta gli aspetti repressi e non integrati del Sé: esplorarli consente di accoglierli e rielaborarli.
Nel tennis, lavorare sull’ombra aiuta a gestire tensioni emotive, paura del fallimento, e a migliorare la performance mentale, rendendo il conflitto uno spazio di crescita. L’esperienza dimostra come l’incontro con l’ombra, se condiviso, possa diventare iniziazione, integrazione e trasformazione.