Role Playing in Psicoterapia e Sport: allenare le emozioni per migliorare la performance
Introduzione
Il role playing si è rivelato un altro utile strumento per facilitare l’espressione emotiva e l’elaborazione dei conflitti interpersonali. Questo esercizio permette di esplorare in modo diretto emozioni e pensieri di cui spesso risulta difficile diventare coscienti, perché vissuti in modo automatico.
La preparazione all’attività: scegliere chi rappresentare
Ogni partecipante veniva invitato a scegliere il terapeuta uomo o la terapeuta donna per rappresentare simbolicamente una persona significativa nella propria vita. La figura scelta poteva essere un genitore, un allenatore, un fidanzato o qualsiasi altra persona con cui l’atleta desiderava instaurare un dialogo autentico, per sciogliere un conflitto, una difficoltà comunicativa o per esprimere un’emozione taciuta. Questa fase di scelta era un momento cruciale. Per molti ragazzi, il semplice atto di decidere chi rappresentare e con chi confrontarsi richiedeva una riflessione profonda sulla qualità delle relazioni più importanti della loro vita. Spesso emergevano esitazioni o silenzi carichi di significato, segno della complessità emotiva legata a quelle figure. Una volta scelto il terapeuta, il partecipante prendeva posto su una sedia, mentre il terapeuta si accomodava di fronte a lui, assumendo il ruolo assegnato. L’interazione si svolgeva in modo semplice: i due partecipanti seduti l’uno di fronte all’altro. L’atleta aveva la possibilità di rivolgersi direttamente al terapeuta come se stesse parlando alla persona scelta, chiamandolo per nome o con il nome di ruolo (esempio mamma o papà, ecc.) esprimendo sentimenti, pensieri o domande che erano rimaste taciute nella realtà. Il terapeuta, dal canto suo, rispondeva con empatia, ascoltando e cercando, cioè, di immedesimarsi nella situazione e mantenendo il ruolo assegnato, cercando di facilitare un dialogo autentico e foriero di altri punti di vista. Potevamo osservare che alcuni si concentravano su temi legati al conflitto, esprimendo rabbia o frustrazione verso una figura che percepivano come distante o giudicante; altri, invece, esploravano emozioni più intime, come il bisogno di approvazione, affetto o riconoscimento da parte di una persona cara. L’assenza di giudizio da parte della figura rappresentativa permetteva ai partecipanti di abbassare le difese e di lasciar fluire liberamente i propri pensieri ed emozioni. Mentre il dialogo si svolgeva, il resto del gruppo assumeva il ruolo di testimone. I ragazzi osservavano in silenzio, ascoltando con attenzione, rispettando lo spazio di chi stava parlando e verosimilmente immedesimandosi ora in una, ora nell’altra figura. Questo aspetto era fondamentale: la presenza del gruppo, pur silenziosa (ascolto attivo), offriva un contenimento affettivo, un senso di appartenenza e di supporto che rendeva l’esperienza ancora più significativa per chi si trovava a esprimersi. Per chi osservava, l’esperienza si rivelava spesso altrettanto intensa. Ascoltare il dialogo degli altri permetteva di identificarsi o, meglio, di empatizzare (Bolognini, 2002), cioè di riconoscere le somiglianze con le proprie dinamiche relazionali e di riflettere su emozioni e conflitti personali. Molti partecipanti riportavano di sentirsi toccati dalle parole dei compagni, come se ciò che veniva espresso riguardasse, in qualche modo, anche loro. Alla conclusione del dialogo, il gruppo si riuniva per discutere e commentare quanto accaduto. Ogni atleta aveva l’opportunità di condividere ciò che aveva provato, sia come protagonista del role playing, sia come osservatore. Questo momento di riflessione collettiva era cruciale per elaborare le emozioni emerse durante l’attività e per dare loro un significato più ampio e gruppale. I ragazzi che avevano partecipato direttamente al role playing spesso riferivano di sentirsi sollevati, come se avessero tolto un peso dal cuore. L’opportunità di esprimere pensieri ed emozioni che nella vita reale erano rimasti inespressi dava loro una nuova prospettiva sul conflitto o sulla relazione affrontata, anche con la possibilità di pensare di aprirsi realmente con le figure di riferimento. Gli osservatori, dal canto loro, riportavano di aver trovato nell’esperienza spunti per riflettere sulle proprie dinamiche relazionali e sulle emozioni che, a loro volta, faticavano a comunicare.
Il ruolo trasformativo del role playing
L’attività del role playing si configura come una forte ed utile esperienza di rielaborazione simbolica e relazionale. Attraverso la proiezione su un terapeuta di una figura significativa, il partecipante crea una rappresentazione tangibile dei propri vissuti emotivi. Questo processo si basa su un principio fondamentale della psicologia dinamica: la trasformazione di contenuti interni inespressi in esperienze simboliche condivisibili, dove il confronto diretto diventa il mezzo per riconoscere e riorganizzare le emozioni (Loewald, 1980) La struttura del role playing consente di trasformare il conflitto interpersonale in un dialogo autentico, ma mediato, dove la figura proiettata è libera dai condizionamenti e dalle complessità che spesso caratterizzano le relazioni reali. Questo crea uno spazio intermedio di lavoro, che permette al partecipante di confrontarsi con le proprie emozioni in modo diretto, ma al tempo stesso protetto. La dinamica del role playing favorisce non solo un’espressione autentica, ma anche una profonda esplorazione del modo in cui il partecipante percepisce e vive le relazioni. L’opportunità di parlare apertamente alla figura proiettata consente di mettere a fuoco i propri bisogni emotivi e le proprie aspettative, che spesso rimangono impliciti o inespressi nelle relazioni quotidiane. In questo senso, il terapeuta che assume il ruolo proiettato non è solo un intermediario, ma diventa una sorta di specchio in cui il partecipante può osservare i propri schemi relazionali e i conflitti irrisolti. Il confronto diretto con il terapeuta proiettato consente inoltre di vivere l’esperienza della risposta empatica: una risposta che, a differenza di quella che si potrebbe ricevere nella realtà, è pensata per accogliere, comprendere ed elaborare i contenuti emotivi, piuttosto che per giudicarli. Questo offre al partecipante una nuova prospettiva sulle proprie emozioni e sulle dinamiche relazionali, aiutandolo a rivedere le modalità con cui interagisce con gli altri. La presenza del gruppo non è semplicemente passiva, ma rappresenta una cornice che amplifica il valore dell’esperienza individuale. Osservando il dialogo tra il partecipante e il terapeuta, i membri del gruppo sono stimolati, come detto, ad empatizzare, cioè, riconoscere analogie e differenze con le dinamiche relazionali e le emozioni in gioco. Questo processo di rispecchiamento favorisce una riflessione collettiva, dove le esperienze degli altri diventano spunti per comprendere meglio le proprie.
Il valore terapeutico per l’atleta: un parallelismo con il campo da gioco
Nel tennis e più in generale nel contesto sportivo, l’attività di role playing assume un significato molto preciso: allenarsi, fare prove, sperimentarsi, simulare per potersi preparare alla gara. È più facile giocare poi nel match un colpo che si è precedentemente allenato. L’allenamento in sostanza è una sorta di role playing, dove l’esperienza è meno pressante e ciò garantisce un apprendimento più graduale ed efficace, anche perché fatto di prove che possono insegnare anche quando errate. Inoltre, quando per l’atleta la figura di riferimento con cui riuscire a comunicare meglio è l’allenatore, il coach o il maestro, il passo tra il role playing (esperienza simulata) e intraprendere l’atto comunicativo (esperienza reale) e’ breve. Questo vale non solo per chi fa l’esperienza pratica, che, come abbiamo detto, non ha solo una valenza catartica, ma anche per chi osserva, che effettua un’esperienza immaginativa. Il valore dell’immaginazione al posto dell’azione nello sport è noto e ampiamente riconosciuto a cominciare dalle sperimentazioni di Maltz (1960). È indubbio che questa esperienza di role playing, che a volte assume le caratteristiche di uno psicodramma (Moreno,1985), ha un’influenza sia sugli aspetti relazionali che sulla performance sportiva. L’esperienza di dialogo autentico infine permette di allenare una competenza fondamentale per l’atleta: la capacità di riconoscere e gestire le proprie emozioni in modo consapevole. Questo processo è direttamente collegato alla performance sportiva, dove la gestione delle pressioni interne ed esterne è cruciale per mantenere la concentrazione e la fiducia in sé stessi. In effetti alla fine del role playing, i partecipanti spesso riferiscono una sensazione di leggerezza e libertà, come se avessero finalmente avuto l’opportunità di esprimere qualcosa a lungo trattenuto. Questo risultato non è solo il frutto, come detto, di un’espressione catartica, ma anche di un processo di riorganizzazione emotiva. Affrontare un conflitto in un contesto protetto permette di dare un nuovo significato alle proprie emozioni, integrandole in modo più funzionale nella propria vita. L’esperienza, dunque, non si limita a essere un momento di sfogo, ma diventa un’opportunità per riconoscere e accettare parti di sé spesso negate o represse. Freud sostiene che l’espressione delle emozioni represse attraverso la parola e il dialogo è essenziale per alleviare i conflitti interni e promuovere il benessere (Freud, 1923).