Osservarsi in movimento: un'esperienza di consapevolezza corporea e relazione nel gruppo
Introduzione
Recentemente, ho avuto l’opportunità di lavorare con un gruppo di adolescenti tennisti di età compresa tra i 12 e i 16 anni. Anche se questi ragazzi si conoscevano già tra di loro, ho voluto iniziare con un incontro conoscitivo che potesse permettere loro di guardarsi da un punto di vista diverso, più profondo e meno convenzionale. Per questo ho scelto di usare il corpo e il linguaggio non verbale come strumenti centrali già a partire da questo primo incontro.
Questo esercizio non è stato utilizzato solo come strumento conoscitivo, ma anche come un vero e proprio lavoro sulle “corazze caratteriali” (Racker, 1933). Oltre a facilitare l’incontro tra i partecipanti, infatti, esso ha stimolato la consapevolezza del modo di muoversi e della postura altrui, offrendo ai ragazzi l’opportunità di riflettere su sé stessi attraverso l’osservazione dell’altro. Attraverso questa esperienza di osservazione reciproca (rispecchiamento), i partecipanti hanno potuto riconoscere tensioni e atteggiamenti radicati, sperimentando un percorso di esplorazione personale che è già stato un iniziale scoprire le carte.
L’esperienza
Per iniziare l’attività, ho chiesto ai ragazzi di camminare liberamente nello spazio, in ordine sparso. L’obiettivo era iniziare a percepire l’altro senza l’uso della parola. Ho chiesto loro di osservare inizialmente i piedi: “Guardate i piedi degli altri. Ognuno ha un paio di scarpe diverso, un modo di camminare unico. Qualcuno avrà le scarpe allacciate; notate come mettono il piede a terra, come muovono il corpo mentre camminano”. Questo li ha portati a concentrarsi su dettagli che normalmente passano inosservati, stimolando l’osservazione dei movimenti altrui senza un giudizio esplicito, ma con curiosità e attenzione. Poi, gradualmente, ho spostato il focus su altre parti del corpo: le mani, la bocca, lo sguardo. A ogni step, li guidavo con riflessioni: “Osservate le mani. Ciascuno ha un suo modo di muoverle, gesticolare o tenerle ferme. Qual è il ritmo con cui le persone muovono le mani quando camminano?”. Così, passo dopo passo, siamo arrivati ad osservare la bocca, il modo in cui le labbra si muovevano quando qualcuno sorrideva o rimaneva serio. Infine, ho chiesto di focalizzarsi sugli occhi: “Come guardano gli altri? Qual è l’espressione degli occhi che notate negli altri?”.
Questo esercizio non solo stimolava l’attenzione ai dettagli, ma permetteva ai ragazzi di conoscersi in modo non convenzionale, attraverso segnali non verbali, che spesso parlano più delle parole. Mi interessava che potessero percepire l’altro da una prospettiva più profonda, che emergesse la loro autenticità attraverso la modalità di esprimersi con il corpo. Spesso ci concentriamo sulla parola per definire chi siamo, ma il corpo racconta una storia altrettanto, se non più, significativa.
In un mondo dove spesso ci si definisce attraverso le parole, il linguaggio corporeo può rivelare chi siamo realmente, spesso più delle nostre stesse dichiarazioni. Il corpo, infatti, comunica in modo più autentico e immediato, esprimendo emozioni e atteggiamenti che le parole talvolta nascondono. Nell’esperienza proposta, l’obiettivo era proprio quello di aiutare i ragazzi a conoscersi e a farsi conoscere non per ciò che dicono di sé, ma per ciò che realmente esprimono. Osservando le posture, i movimenti e le espressioni degli altri, i ragazzi hanno potuto cogliere una dimensione più profonda e non filtrata delle loro identità e di quelle dei compagni, sviluppando una comprensione più autentica.
La Sfida del Tatto
Alla fine dell’esercizio, ho voluto introdurre un elemento ulteriore: il tatto. L’ho presentato come un modo per sentire come è fatto l’altro attraverso il contatto fisico, un’opportunità per conoscersi a livello tattile, esplorando con delicatezza e rispetto i confini corporei dell’altro. Questo passaggio, però, non è stato semplice, soprattutto perché il gruppo era misto, composto da ragazzi e ragazze, e il tatto in questa fascia d’età può generare disagio, imbarazzo o resistenze, specialmente quando si tratta di contatti tra i sessi opposti. Tuttavia, è proprio in questa fase che si sviluppano le prime consapevolezze legate ai confini fisici, all’intimità e alle interazioni sociali più profonde. Invitandoli a un tocco rispettoso, ho cercato di rompere l’imbarazzo che spesso si accompagna al contatto fisico. Il tatto è una delle prime modalità con cui sviluppiamo un senso di sicurezza e protezione, e può essere un potente mezzo di connessione. Alla fine dell’attività, molti ragazzi hanno riflettuto su quanto fossero stati sorpresi da questa nuova prospettiva di conoscenza reciproca. Osservare l’altro camminare, muovere le mani o guardare negli occhi, e infine toccare, ha permesso loro di sentirsi più vicini e connessi. Hanno potuto riconoscere differenze e somiglianze, superando l’apparenza e sviluppando una conoscenza più intima e autentica l’uno dell’altro.
La corazza
Il lavoro che ho svolto con i ragazzi si fonda su alcuni principi chiave della comunicazione non verbale e della psicologia del corpo. La comunicazione non verbale, come afferma Albert Mehrabian (Mehrabian, 1972), è uno dei canali più potenti attraverso cui trasmettiamo emozioni e stati d’animo. Attraverso l’osservazione di dettagli corporei come i movimenti dei piedi, delle mani o degli occhi, i ragazzi hanno potuto cogliere informazioni preziose sulla personalità e lo stato emotivo degli altri senza bisogno di parole. Wilhelm Reich (Reich, 1933) introduce il concetto delle “corazze caratteriali” come tensioni muscolari croniche che nascono da esperienze emotive intense o traumatiche, diventando alla fine difese somatiche che limitano l’espressività corporea. Così, osservando i movimenti altrui, i ragazzi hanno potuto riflettere su loro stessi, esplorando come postura e gestualità possano essere influenzate da emozioni non espresse. Questa consapevolezza è cruciale, specialmente in attività come il tennis, dove il corpo deve essere libero e rilassato per esprimere precisione e forza. Infatti, in ambito sportivo, queste corazze possono ridurre fluidità e libertà nei movimenti, influenzando la gestione dello stress e della concentrazione (Lowen,1976).
Questa teoria è supportata anche dalle ricerche più recenti in psicologia corporea e neuroscienze. Studi hanno dimostrato che l’esperienza emotiva non elaborata può diventare parte della memoria somatica, contribuendo alla costruzione di schemi corporei rigidi e influendo sulla capacità di esprimere e rilasciare tensioni durante l’attività fisica (Ogden, Minton, & Pain, 2006).
Conlusioni
Questa esperienza ha confermato quanto il corpo, il movimento e il tatto siano strumenti potenti per favorire la conoscenza reciproca e lo sviluppo di relazioni autentiche tra adolescenti. Le iniziali resistenze, soprattutto riguardo al contatto fisico, sono state superate grazie a un ambiente sicuro e privo di giudizio verbale, permettendo ai ragazzi di esplorare sé stessi e gli altri in modo autentico. Il corpo si è rivelato così un canale prezioso per creare connessioni profonde, rafforzando il legame e la comprensione all’interno del gruppo.