L’Esperienza del Mimo: Giudizio, Imbarazzo e Consapevolezza in Campo
Introduzione
L’attività del mimo è stata progettata per esplorare la percezione di sé rispetto al giudizio sociale in un contesto di interazione gruppale, con i conseguenti risvolti emotivi come l’imbarazzo, la paura del giudizio e la pressione legata all’essere oggetto di osservazione. È retorico ricordare quanto questi elementi influenzano la performance sportiva, con i conseguenti risvolti emotivi come l’imbarazzo, la paura del giudizio e la pressione legata all’essere oggetto di osservazione.
Descrizione dell’Esperienza
L’attività prevedeva che un partecipante, scelto a turno, eseguisse un’azione o rappresentasse un’emozione mimandola mentre gli altri lo seguivano replicando i suoi gesti in simultanea. Alla fine dell’esperienza, durante la riflessione di gruppo, molti partecipanti sostenevano quanto si fossero sentiti in imbarazzo nel compiere il gesto d’inizio o nel vedere gli altri che lo imitavano. A questo proposito c’è da chiedersi se la reazione emotiva all’imitazione fosse relativa al gesto o alla persona imitata. Alcuni evidenziavano che l’essere osservati li faceva sentire esposti e insicuri, e che questo suscitava loro emozioni simili a quelle provate durante una partita, dove si sentono sotto costante e pressante osservazione. Altri partecipanti invece riferivano di essersi sentiti più a proprio agio a osservare e imitare, poiché questo permetteva loro di mantenere una posizione più protetta, meno esposta. Queste riflessioni finali portavano il gruppo a discutere di come il giudizio percepito influenzi la loro capacità di esprimersi liberamente, sia durante la partita che nella vita quotidiana. I partecipanti individuavano l’importanza di concentrarsi sull’esperienza presente, piuttosto che sull’immagine che si teme di esporre. Alla fine dell’esperienza, durante la riflessione di gruppo, molti partecipanti sostenevano quanto si fossero sentiti in imbarazzo nel compiere il gesto d’inizio o nel vedere gli altri che lo imitavano.
Il Tema dell’Imbarazzo e del Giudizio
Uno degli aspetti più significativi emersi dall’esperienza è il tema dell’imbarazzo e della vergogna. Per molti partecipanti, essere osservati e poi “imitati” dagli altri li porta a considerare il proprio vissuto di vulnerabilità. Questa sensazione di esposizione è strettamente legata alla paura del giudizio, un tema centrale per i tennisti, che durante le partite si trovano spesso sotto l’osservazione degli spettatori, dell’avversario, dei familiari, dei familiari e del coach. Sentirsi osservati può generare un’ansia da prestazione che influisce sulla performance, un fenomeno noto come “effetto spettatore”. Il tema del giudizio, dell’ansia da prestazione e della vergogna, così comuni nella nostra epoca, si collocano all’interno di un sistema di pensiero narcisistico, dove viene privilegiata l’immagine che si pensa di fornire, piuttosto che la libera espressione di sé. La performance tennistica, come vetrina sociale, si presta a questo disagio, che può essere fonte di disturbi psicopatologici, specialmente gli attacchi di panico (Catanzaro, 2022). Secondo Erving Goffman (1959), il sociologo che ha studiato l’interazione sociale come “rappresentazione teatrale”, gli individui tendono a modificare il proprio comportamento quando sanno di essere osservati, adattandosi a quello che percepiscono come il giudizio degli altri. Goffman (1959) afferma che l’essere osservati implica una performance, in cui l’individuo cerca di presentare la migliore versione di sé per evitare il giudizio negativo. Nel tennis, questo vissuto può portare a un eccessivo controllo di sé e a una rigidità nel movimento, che spesso ostacolano la fluidità e la spontaneità necessarie per una buona prestazione. L’esperienza del mimo permette ai partecipanti di esplorare la sensazione di essere osservati in un ambiente non necessariamente competitivo, ma comunque carico di attenzione. Questa dinamica porta molti a riflettere sulla propria reazione all’essere guardati e sulla difficoltà di mantenere la naturalezza e la fiducia in sé stessi sotto lo sguardo altrui. Albert Bandura (1977), con la sua teoria dell’auto-efficacia, sottolinea che l’ansia da prestazione è spesso influenzata dalle aspettative di giudizio che il soggetto percepisce, affermando che “la consapevolezza di essere osservati aumenta il timore di fallire e la percezione di non essere all’altezza” (Bandura, 1977). Questa paura del giudizio può limitare l’espressione naturale dell’atleta, spingendolo a concentrarsi più su come appare agli altri che sul gioco in sé. Nel tennis, dove sono presenti degli spettatori, la pressione di eseguire correttamente i colpi e l’ansia da prestazione può interferire con la concentrazione e la fluidità. L’esercizio del mimo permette di affrontare e comprendere meglio questa dinamica, aiutando i tennisti a sviluppare una maggiore consapevolezza dei propri vissuti e a far diventare risorsa il giudizio percepito: così come a teatro, anche nello sport, la presenza del pubblico, il suo calore può rappresentare un fattore che migliora la performance.
Portare l’Esperienza del Mimo in Campo: Imitazione come Strumento di Consapevolezza e Crescita
L’idea di portare l’esperienza del mimo sul campo da tennis nasce dall’osservazione di un’abitudine nota di Novak Djokovic, uno dei più grandi tennisti della storia. Djokovic, in modo scherzoso e spesso per intrattenere il pubblico, si è cimentato nell’imitazione di movimenti, gesti e comportamenti peculiari di altri giocatori, come Rafael Nadal, Roger Federer o Maria Sharapova. Queste imitazioni, oltre a mettere in evidenza il suo spirito ironico, riflettono una capacità straordinaria di osservazione e di connessione con il linguaggio corporeo altrui. Questo comportamento apparentemente ludico può essere riletto in chiave psicologica e formativa come un potente strumento per sviluppare consapevolezza, empatia e strategie tattiche. Partendo da questo spunto, l’esperienza del mimo può essere adattata e portata sul campo per aiutare gli atleti a migliorare la lettura del gioco dell’avversario, aumentare la propria flessibilità psicologica e affinare le loro competenze relazionali e tecniche. L’imitazione richiede una capacità di osservazione attenta e un’elaborazione accurata dei dettagli. Nel contesto del tennis, osservare i movimenti dell’avversario e riprodurli attraverso il mimo consente agli atleti di comprendere meglio il suo stile di gioco, le sue abitudini motorie e persino i suoi punti deboli. Questa pratica non si limita a uno studio statico: l’imitazione permette di interiorizzare i movimenti altrui e di esplorare, attraverso il corpo, come un avversario costruisce i suoi colpi o si posiziona in campo. Dal punto di vista cognitivo, imitare l’avversario stimola i processi di apprendimento motorio attraverso il sistema dei neuroni specchio (Rizzolatti, Fadiga, Gallese, Fogassi, 1996). Allenare questa capacità migliora la consapevolezza della la propria e altrui dinamica corporea, favorendo una lettura più intuitiva delle intenzioni dell’avversario durante il gioco. Ricordiamo come il tennis, si basa su una costante interazione con l’avversario. Mimarne i movimenti aiuta a ridurre la percezione di distanza tra sé e l’altro, creando una connessione corporea e relazionale che favorisce l’empatia. L’imitazione è uno dei primi strumenti attraverso cui gli esseri umani costruiscono legami e comprendono gli altri, imparano, (Stern,1985). Nel tennis, questa pratica può trasformare l’avversario da semplice “nemico da battere” a un elemento con cui entrare in relazione, migliorando la capacità di leggere la sua dinamicità corporea, le sue emozioni e il suo stato mentale. Questa empatia corporea non implica una perdita di competitività, ma al contrario, aumenta la capacità di anticipare le mosse dell’altro. Comprendere attraverso il proprio corpo come si sente o si muove l’avversario offre un vantaggio strategico, migliorando la capacità di adattarsi rapidamente ai cambiamenti di ritmo o di gioco. È necessaria solo l’umiltà di mettersi nei panni dell’altro.
Conclusioni
L’attività del mimo sia nel setting gruppale, che in campo, si rivela un’esperienza preziosa per esplorare e affrontare il tema del giudizio e dell’imbarazzo legato all’essere osservati, un aspetto cruciale per i tennisti che si confrontano quotidianamente con l’ansia da prestazione. Attraverso questo esercizio, i partecipanti possono sperimentare l’essere al centro dell’attenzione e riflettere su come la percezione del giudizio influisca sulla loro sicurezza e naturalezza. Allenare la consapevolezza del giudizio e sviluppare strategie per gestirlo può portare a una maggiore tranquillità mentale in campo, migliorando la concentrazione e la capacità di esprimersi liberamente, senza il timore del giudizio esterno. Questa pratica dimostra come l’imitazione possa essere molto più di un semplice esercizio ludico: essa diventa uno strumento per affinare la consapevolezza corporea, migliorare la lettura tattica e promuovere la crescita tecnica, emotiva e relazionale dell’atleta.